
Let me confess something unfashionable: I don't believe your opinion matters just because you have one.
I don’t say that to be cruel. I say it because truth doesn’t care about your confidence, and neither should we. The internet has handed a megaphone to every amateur theologian, every bathtub Kantian, every breathless new arrival to the religion of their own selfie. They demand not just the right to speak — which they have — but the right to be taken seriously. That, they must earn. And most haven’t.
We're living through the golden age of undistilled self-expression—and the iron collapse of intellectual authority. Every voice now arrives preloaded with the aura of legitimacy, as if hashtags carried moral weight. The result? A flood of unverifiable feelings, vibes with footnotes, and wounded egos masquerading as vision.
The algorithms reward it. We mistake noise for plurality, visibility for virtue. Meanwhile, the slow work of actually thinking — the humiliating, disciplined, silent work — has been exiled. There's no time for it. We’re too busy reacting to each other reacting to each other reacting...
This isn't just complaint; it's fact. Rigorous studies show that low-quality content spreads as widely—and further—than truth. Popularity now inversely tracks with epistemic merit. On social media, what circulates is what’s easiest to swallow, not what’s worth hearing. Falsehoods are 70% more likely to be retweeted than truths.
And what passes for creativity? Meme ethics. Carousel activism. Platitude chains that shout “Rest is resistance!”—as if naps ever stopped a bullet or toppled a tyrant. We’ve traded moral courage for moral emoji. We claim to “speak truth to power” when we’re just click-baiting the algorithm.
I know brilliant people—real thinkers—who are going unread while teenage prophets with Wikipedia degrees and infinite gall teach 30-second crash courses on “late capitalism” from their iPhones, framed by fairy lights and affirmation merch. The death of reading isn’t just a cultural loss. It’s a moral one.
Of course there are exceptions—the quiet, the rigorous, the ones still doing the work. But they’re suffocated by volume. Not because they’re wrong, but because they’re not loud. Real ideas take time and don’t win the Thinkers50. It’s far easier to go viral by saying nothing than by daring to say something true—and unleashing the inevitable shitstorm.
This isn’t a marketplace of ideas. It’s a coliseum of vanity, where spectacle is scripture and the crowd only cheers who polishes their ego.
You can say anything now. That’s not the problem. The problem is the collective illusion that what everybody says is significant.
In the end, we're not governed by insight, not even by power—but by the algorithmic enshittification of the most palatable mediocrity. Those allergic to wisdom simply swipe left.
This isn't liberation. It's the Tyranny of the Unread.
#Leadership #DigitalCulture #IntellectualAuthority #AlgorithmicMediocrity #TheTyrannyOfTheUnread
L'epidemia dell'ignoranza: quando la stupidità diventa virale
Traduzione di: Carlo (Antonio) Mazzucchelli
L'EPIDEMIA DELL'IGNORANZA: QUANDO LA STUPIDITÀ DIVENTA VIRALE
Lasciatemi confessare una cosa fuori moda: non credo che la vostra opinione conti solo perché ne avete una. Non lo dico per essere crudele. Lo dico perché alla verità non importa la tua certezza, e non dovrebbe interessare neppure a noi.
Internet ha consegnato un megafono a ogni teologo dilettante, a ogni kantiano da bagno, a ogni nuovo arrivato senza fiato alla religione del proprio selfie. Chiedono non solo il diritto di parola – che hanno – ma il diritto di essere presi sul serio. Questo, devono guadagnarselo. E la maggior parte non l'ha fatto.
Stiamo vivendo l'età d'oro dell'espressione di sé non distillata e il crollo ferreo dell'autorità intellettuale. Ogni voce ora arriva pre-caricata con l'aura di legittimità, come se gli hashtag avessero un peso morale. Il risultato? Un diluvio di sentimenti non verificabili, vibrazioni con note a piè di pagina ed ego feriti mascherati da visione.
Gli algoritmi lo premiano. Confondiamo il rumore con la pluralità, la visibilità con la virtù. Nel frattempo, il lento lavoro del pensare realmente – il lavoro umiliante, disciplinato, silenzioso – è stato esiliato. Non c'è tempo per questo. Siamo troppo occupati a reagire l'uno all'altro, a reagire l'uno all'altro, a reagire...
Non si tratta solo di una lamentela; è un dato di fatto. Studi rigorosi dimostrano che i contenuti di bassa qualità si diffondono in modo altrettanto ampio e più ampio della verità. La popolarità ora segue inversamente il merito epistemico. Sui social media, ciò che circola è ciò che è più facile da ingoiare, non ciò che vale la pena ascoltare. Le falsità hanno il 70% di probabilità in più di essere ritwittate rispetto alle verità.
E cosa passa per creatività? Etica dei meme. Attivismo da carosello. Catene di luoghi comuni che gridano "Il riposo è resistenza!" Come se il pisolino avesse mai fermato una pallottola o rovesciato un tiranno.
Abbiamo scambiato il coraggio morale con le emoji morali. Affermiamo di "dire la verità al potere" quando stiamo solo facendo clic sull'algoritmo.
Conosco persone brillanti – veri pensatori – che non vengono letti mentre profeti adolescenti con lauree su Wikipedia e sfacciataggine infinita insegnano corsi intensivi di 30 secondi sul "tardo capitalismo" dai loro iPhone, incorniciati da lucine e merchandising di affermazioni.
La morte della lettura non è solo una perdita culturale. È una questione morale. È molto più facile diventare virali senza dire nulla piuttosto che osare dire qualcosa di vero e scatenare l'inevitabile tempesta di "merda".
Naturalmente ci sono delle eccezioni: quelle tranquille, quelle rigorose, quelle che ancora fanno il lavoro. Ma sono soffocati dal volume. Non perché abbiano torto, ma perché non sono rumorosi. Le idee vere richiedono tempo e non vincono il Thinkers50. È molto più facile diventare virali senza dire nulla e scatenare l'inevitabile tempesta di "merda" che osare dire qualcosa di vero.
Questo non è un mercato di idee. È un colosseo di vanità, dove lo spettacolo è la Scrittura e la folla applaude solo chi lucida il proprio ego.
Ora puoi dire qualsiasi cosa. Non è questo il problema. Il problema è l'illusione collettiva che ciò che tutti dicono sia significativo.
Alla fine, non siamo governati dall'intuizione, nemmeno dal potere, ma dalla “enshittificazione” algoritmica della mediocrità più appetibile. Chi è allergico alla saggezza semplicemente scorre verso sinistra.
Questa non è liberazione. È la tirannia del non letto.
Leggilo su StultiferaNavis: https://www.stultiferanavis.it/la-rivista/lepidemia-dellignoranza-quando-la-stupidita-diventa-virale
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LA EPIDEMIA DE LA IGNORANCIA: CUANDO LA ESTUPIDEZ SE VUELVE VIRAL
Traducción de: Roberto Bravo Graubin
Les confieso algo impopular: no creo que tu opinión importe solo porque la tengas.
No lo digo por crueldad. Lo digo porque la verdad no se preocupa por tu comodidad, y nosotros tampoco deberíamos. Internet le ha entregado un megáfono a todos, o en palabras de Umberto Eco: 'a una legión de idiotas'. Exigen no solo el derecho a hablar -que lo tienen- sino el derecho a ser tomados en serio. Eso hay que ganárselo. Y la mayoría no lo ha hecho.
Estamos viviendo la edad dorada de la autoexpresión sin filtro - y el derrumbe de la autoridad intelectual. Cada voz llega ahora cargada con un aura de legitimidad, como si los hashtags tuvieran peso moral. ¿El resultado? Un diluvio de sentimientos imposibles de verificar, 'ofensas' y egos heridos disfrazados de visión.
Y el algoritmo lo premia. Confundimos ruido con pluralidad, visibilidad con virtud. Mientras tanto, el trabajo de pensar de verdad -lento, disciplinado, silencioso- ha sido exiliado. No hay tiempo para eso. Estamos demasiado ocupados reaccionando a otros reaccionando a otros reaccionando...
Esto no es solo una queja; es un hecho. Estudios rigurosos muestran que el contenido de baja calidad se difunde tanto, o más, que la verdad. Hoy la popularidad sigue una curva inversa al mérito epistémico. En las redes sociales circula lo que es más fácil de tragar, no lo que vale la pena escuchar. Las falsedades tienen un 70% más de probabilidades de ser retuiteadas que las verdades.
¿Y qué pasa por creatividad? Cadenas de frases hechas, activismo de carrusel, ética de memes. La moral convertida en emoji. Decimos “la verdad al poder” cuando en realidad solo estamos cebando al algoritmo con clics.
Conozco gente brillante - pensadores reales - que no son leídos mientras profetas adolescentes con títulos de Wikipedia y audacia infinita dan cursos relámpago de 30 segundos online, enmarcados por lucecitas de hadas y mercancía de autoafirmación. La muerte de la lectura no es solo una pérdida cultural. Es una pérdida moral.
Claro que hay excepciones - los callados, los rigurosos, los que aún hacen el trabajo. Pero son ahogados por el volumen. Las ideas reales toman tiempo y no ganan el Thinkers50. Es mucho más fácil volverse viral diciendo nada que atreviéndose a decir algo verdadero.
Esto no es un mercado de ideas. Es un coliseo de vanidad, donde el espectáculo es sagrado y la multitud aplaude a quien mejor pule su ego. Ahora puedes decir cualquier cosa. Ese no es el problema. El problema es la ilusión colectiva de que todo lo que se dice es significativo.
Al final, no nos gobierna la lucidez, ni siquiera el poder, sino la enmierdificación algorítmica de la mediocridad más digerible. Quienes son alérgicos a la sabiduría simplemente deslizan a la izquierda.
Esto no es liberación. Es la tiranía de lo no leído.
#Liderazgo #Cultura
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Thanks to both of you for the brilliant translations!